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le sacche», ordinò di nuovo, bruscamente, la voce che usciva dall'ap-
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parecchio.
Afferrai due borse piene di banconote da venti e cinquanta dollari.
Quando mi precipitai per la seconda volta davanti allo sportello aperto, mi
sentivo il cuore in gola. Il vento all'esterno ruggiva.
In quel momento il treno stava sfrecciando in una zona fittamente albe-
rata, con macchie di olmi e pini e un sottobosco compatto. Non vidi alcuna
casa, né persone appostate fra gli alberi. Sembrava un luogo particolar-
mente adatto a quella consegna.
L'Handie-Talkie tacque di nuovo!
«Stronzi!» urlò l'agente Doud con tutta la voce che aveva in gola. Il resto di
noi si lasciò sfuggire un gemito e piombò a sedere sul pavimento.
Nei successivi settantacinque minuti la voce ci costrinse a quell'esercita-
zione per ben undici volte. In tre casi fummo costretti a trasferire tutto il
denaro in altri vagoni.
Dopo che in quel modo avevamo raggiunto l'ultima carrozza, ci fu im-
mediatamente ordinato di tornare nella prima.
«Siete bravi ragazzi. Molto obbedienti», commentò la voce.
Poi la ricetrasmittente tornò a farsi muta.
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«Non ne posso più!» urlò Betsey. «Che Dio lo stramaledica! Vorrei uc-
ciderlo, quello stronzo bastardo.»
Le sacche col denaro erano ingombranti e pesavano come macigni; noi eravamo
esausti per lo sforzo di trascinarle da una parte all'altra del treno.
Madidi di sudore, sporchi e coperti di polvere, avevamo i nervi tesi e ci
sentivamo allo stremo delle forze. Il costante sferragliare delle carrozze
ferroviarie era più assordante che mai.
Il treno stava di nuovo correndo in mezzo a fitti boschi, fischiando a tut-
to spiano. L'agente Walsh teneva conto delle stazioni che ci lasciavamo via
via alle spalle.
Poi l'Handie-Talkie riprese vita. «Preparate le borse con le banconote e i
diamanti. Spalancate lo sportello, subito! E nel gettare le borse fate in mo-
do che cadano vicine. In caso contrario, un ostaggio sarà ucciso! Teniamo
d'occhio ogni vostra mossa. Lei è molto graziosa, agente Cavalierre.»
«Sì, e tu sei un folle», mormorò Betsey, quasi fra sé. La sua maglietta
azzurra era talmente inzuppata di sudore da avere assunto una tinta più
scura e i capelli neri le si erano incollati alla testa. Se avesse avuto anche
solo un filo di grasso, l'avrebbe perso durante quell'estenuante galoppata su
e giù per il treno.
«Falso allarme», disse la voce che usciva dal walkie-talkie, con una pun-
ta di evidente allegria. «Ritornate ai vostri posti. Per il momento è tutto.»
L'apparecchio ricetrasmittente tacque.
«Vaffanculo!»
Crollammo tutti a sedere sulle sacche, respirando affannosamente. Io tentavo
di costringere il mio cervello a ragionare in maniera lucida, ma do-
po ogni falso allarme mi risultava sempre più difficile. Se avessi dovuto
correre ancora una volta all'estremità opposta del convoglio, non ero nep-
pure sicuro di farcela.
«Forse scenderemo da questo treno avendo ancora le sacche del riscat-
to», ipotizzò Walsh, senza alzarsi dal suo improvvisato trespolo. «Se non
altro, cerchiamo di mandare all'aria il loro programma. Facciamo qualcosa che
non si aspettano.»
«È un'idea, ma rischiamo di mettere in pericolo gli ostaggi», replicò Be-
tsey.
Quando l'apparecchio tornò a farsi vivo, Walsh e Doud imprecarono fra-
gorosamente. Avevamo quasi raggiunto il limite della sopportazione. Ma qual
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era il nostro limite?
«Niente riposo per i dannati», disse la voce. Riuscimmo a sentire lo schiocco
di una lattina di bibita o di birra che veniva aperta. Poi un sospiro di
soddisfazione. «O non dirà, forse, il verso: venga il riposo per i danna-
ti?» Di colpo la voce si mise a urlare: «Buttate fuori le sacche, adesso! Su,
forza! Stiamo tenendo d'occhio il treno. Vi vediamo! Lanciate le borse, al-
trimenti uccideremo tutti gli ostaggi!»
Non avemmo altra scelta; non ci venivano lasciate alternative. Non po-
temmo fare altro che gettare dal vagone le sacche cercando di farle cadere
vicine l'una all'altra. Eravamo troppo stanchi per muoverci con la rapidità
che sarebbe stata necessaria. Mi sembrava di agire come in sogno. I miei abiti
erano intrisi di sudore, braccia e gambe mi dolevano.
«Più in fretta! Ci faccia vedere i muscoli, agente Cavalierre.»
Ci stavano osservando? Era probabile. Sembrava che fosse così. Senza dubbio
quell'uomo era nella boscaglia col suo walkie-talkie. Quante altre persone
aveva con sé?
Le nove sacche erano state appena lanciate quando il treno descrisse una curva
a gomito, impedendoci di vedere ciò che stava accadendo una cin-
quantina di metri dietro di noi. Ci lasciammo cadere sul pavimento del va-
gone, imprecando e gemendo.
Betsey ansimò. «Che Dio li maledica. Ce l'hanno fatta. Che possano fini-
re all'inferno.»
L'Handie-Talkie tornò a farsi sentire. Non voleva ancora lasciarci in pa-
ce. «Grazie per l'aiuto. Ragazzi, siete i migliori. Potrete sempre farvi as-
sumere come scaricatori di merci in qualche supermarket. Non male come
prospettiva di lavoro, dopo quanto avete fatto oggi.»
«Sei il Mastermind?» chiesi.
La comunicazione s'interruppe.
La voce era scomparsa, così come si erano volatilizzati denaro e diaman-
ti. E i diciannove ostaggi erano ancora in mano loro.
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Undici chilometri più in là, alla prima stazione disponibile, gli agenti
Cavalierre, Walsh, Doud e io scendemmo a passi incerti dal treno.
Due station wagon nere ci stavano aspettando. Attorno alle vetture erano
schierati numerosi agenti dell'FBI con le armi in pugno. Nella stazione si era
riunita una grande folla. La gente indicava i federali e i loro fucili con
l'aria di chi avesse appena scorto un gruppo di pellirosse reduci da una bat-
tuta di caccia.
Fummo messi al corrente degli ultimi sviluppi della situazione. «A
quanto pare, sono già usciti dai boschi», c'informò un federale. «Kyle
Craig sarà qui a momenti. Stiamo organizzando posti di blocco, ma po-
trebbero farla franca comunque. Però c'è anche una buona notizia: sembra che
il pullman sia stato localizzato.»
Pochi istanti dopo, fummo messi in comunicazione con una donna che abitava a
Tinden, un piccolo centro della Virginia, la quale, a quanto sem-
brava, era in grado di fornire qualche informazione su dove si trovasse
l'automezzo sequestrato. Tuttavia, diceva di voler parlare solo con «la po-
lizia», perché non le andavano molto a genio gli uomini dell'FBI né i loro
metodi.
Soltanto dopo avere appurato chi io fossi, l'anziana donna acconsentì a dire
quanto sapeva. Sembrava nervosa e sovreccitata.
Si chiamava Isabelle Morris e aveva notato un pullman turistico in aper-
ta campagna, nella contea di Warren. Si era insospettita perché era la pro-
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prietaria della compagnia di trasporti locale e quell'automezzo non era uno
dei suoi.
«La carrozzeria era azzurra a righe dorate?» chiese Betsey, senza identi-
ficarsi come agente federale.
«Azzurra e oro. Quello non era uno dei miei, perciò non capisco che co-
sa sia venuto a fare da queste parti», ribatté Mrs. Morris. «Non vedo il mo-
tivo per cui un pullman turistico dovrebbe essere qui. La nostra è una zona [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]
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