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voci delle donne, e gli strilli dei maialini giovani, quando
quelle li lavavano e insaponavano e strigliavano, secon-
do il loro uso, come bambini rosati riluttanti dall acqua.
Tornavo a casa, una sera, ripercorrendo i noti sali-
scendi della strada fra Gagliano di Sopra e Gagliano di
Sotto, e fermandomi qua e là a riguardare meccanica-
mente quei monti di cui sapevo a mente ogni macchia e
ogni ruga, come visi di persone familiari che diventano
quasi invisibili per troppo lunga conoscenza. Guardavo
cosí, senza piú vedere nulla di determinato, in quell aria
grigia e in quel vento: mi pareva di aver perso ogni sen-
so, di essere uscito dal tempo, di essere tutto avvolto dal
mare di una passiva eternità, da cui non sarei piú potuto
uscire. Mi ero seduto un momento vicino alla fontana
che a quell ora era deserta, e ascoltavo in me il cavo ru-
more di quel mare, senza pensare a nulla, quando mi
raggiunse la postina, una vecchia malata, scarna, schian-
tata dalla tosse e dagli stenti, che si affannava tutto il
giorno su per le stradette,del paese, con la borsa delle
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
lettere sul capo. Aveva un telegramma per me, molto ri-
tardato dalla censura, che mi annunciava la morte di un
mio stretto parente. Rientrai in casa; di lí a poco venni
avvertito che la questura mi autorizzava, in seguito a ri-
chiesta urgente dei miei, a recarmi, ben scortato, per po-
chi giorni nella mia città, per gravi ragioni di famiglia.
Avrei potuto partire all alba, per prendere l autobus di
Matera: mi avrebbe accompagnato fin là don Gennaro,
la guardia municipale.
Cosí fui strappato a quell apatico fluire di giorni, e mi
ritrovai di nuovo in moto, in una strada, su un treno, tra
campi verdi. Quel viaggio fu per me cosí triste che mi è
quasi uscito dalla memoria. Rividi ancora una volta da
lontano il monte di Grassano, e quel paese cosí prosai-
camente angelico: poi entrai nelle terre per me nuove,
sempre piú brulle, desolate e deserte, tra il Basento, il
Bradano e la Gravina, oltre Grottole e Miglionico, verso
Matera. A Matera dovetti fermarmi alcune ore, perché si
disponesse per la mia scorta. Vidi allora quella città, e
capii come fosse giustificato l orrore di mia sorella, che
in me si accompagnava alla meraviglia per quella tragica
bellezza. Montai infine sul treno, con un agente, e risalii,
notte e giorno, tutta l Italia. Restai pochi giorni nella mia
città, seguito costantemente da due poliziotti, che dove-
vano vegliare su di me anche la notte, ma che invece
dormivano in una stanzetta che avevo improvvisato per
loro in casa mia. Il mio soggiorno fu melanconico, a par-
te la ragione dolorosa del viaggio. Mi aspettavo il piú vi-
vo piacere nel rivedere la città, nel parlare con i vecchi
amici, nel ripartecipare per un momento a una vita mol-
teplice e movimentata: ma ora sentivo in me un distacco
che non sapevo superare, un senso di infinita lontanan-
za, una difficoltà di adesione che mi impedivano di go-
dere dei beni ritrovati. Molti mi sfuggivano per pruden-
za, altri evitavo io stesso di incontrare per non
comprometterli altri, piú coraggiosi o meno pericolanti,
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
mi cercavano, senza timore dei miei custodi e del loro
rapporto serale. Ma anche con questi mi riusciva diffici-
le ritrovare un completo contatto. Mi pareva che una
parte di me fosse ormai estranea a quel mondo d inte-
ressi, di ambizioni, di attività e di speranza; quella loro
vita non era piú la mia, e non mi toccava il cuore. Cosí,
passati in un attimo quei brevi giorni, ripartii senza di-
spiacere, con due nuovi accompagnatori. Erano due
agenti, che avevano brigato a lungo per avere questo in-
carico, perché speravano, guadagnando qualcosa sui
giorni di viaggio, di trovare il tempo di visitare le loro fa-
miglie. Uno di essi, un siciliano magro, aveva la moglie a
Roma. Quando fummo là, e dovemmo restarci qualche
ora in attesa della coincidenza, mi si raccomandò, che
non lo tradissi, perché avrebbe voluto fermarsi con la
moglie. Lo rassicurai: si godesse pure quei giorni: il suo
compagno sarebbe bastato per sorvegliarmi. Mi salutò,
e scomparve.
L altro mi accompagnò invece fino a Gagliano. Era
un giovane bruno, già un po stempiato, piuttosto ele-
gante. Mi disse, con molta vergogna per la sua attuale
occupazione, di appartenere a una famiglia assai distinta
di Montemurro, in val d Agri: e seppi poi, a Gagliano,
che tutto quello che mi aveva raccontato era vero. Suo
padre era un cieco, celebre in tutta la provincia: ed era
ricco. Teneva in affitto delle grandissime tenute, in paesi
diversi e lontani della Lucania: tutti lo conoscevano, lui
e un suo famoso cavallo, che lo conduceva per tutte le
strade, a visitare quei poderi sparsi a cinquantine di chi-
lometri l uno dall altro, solo e senza guida. Erano otto fi-
gli, e tutti i maggiori avevano studiato, e si erano laurea-
ti. Quando il padre morí, gli affari della famiglia
andarono subito a rotoli. I fratelli avevano tutti dei buo-
ni impieghi, ma il mio poliziotto, De Luca, che era l ulti-
mo, era ancora studente al liceo. Dovette sospendere gli
studi, e non trovò meglio da fare, secondo l uso, che en-
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trare nella Polizia. Ma quel mestiere gli ripugnava: vole-
va dare la licenza liceale, trovare un altro impiego. Forse
io avrei potuto aiutarlo? Cosí il mio custode mi confes-
sava le sue miserie. A Roma c erano i suoi fratelli, i suoi
zii, tutti impiegati in qualche Ministero. Egli voleva visi-
tarli, ma non poteva lasciarmi: mi pregò di accompa-
gnarlo. Fu cosí che vidi i salotti di parecchie case d im-
piegati; fui presentato a tutti come un suo amico
personale, e dappertutto ebbi una tazza di caffè, e do-
vetti dare risposte evasive sulla mia persona. De Luca si
vergognava anche dei suoi parenti; nessuno di essi sape-
va né doveva sapere che faceva il poliziotto. Per loro,
egli aveva un buon impiego in una città del nord, e io
ero un suo collega.
Già il treno ci riportava, oltre la capitale, verso il sud.
Era notte, e non mi riusciva di dormire. Seduto sulla du-
ra panca, andavo ripensando ai giorni passati, a quel
senso di estraneità, e alla totale incomprensione dei poli-
tici per la vita di quei paesi verso cui mi affrettavo. Tutti
mi avevano chiesto notizie del mezzogiorno; a tutti ave-
vo raccontato quello che avevo visto: e, se tutti mi aveva-
no ascoltato con interesse, ben pochi mi era parso voles-
sero realmente capire quello che dicevo. Erano uomini
di varie opinioni e temperamenti: dagli estremisti piú ac-
cesi ai piú rigidi conservatori. Molti erano uomini di ve-
ro ingegno e tutti dicevano di aver meditato sul «proble-
ma meridionale» e avevano pronte le loro formule e i
loro schemi. Ma cosí come queste loro formule e sche-
mi, e perfino il linguaggio e le parole usate per esprimer-
li sarebbero stati incomprensibili all orecchio dei conta-
dini, cosí la vita e i bisogni dei contadini erano per essi
un mondo chiuso, che neppure si curavano di penetrare.
Erano, in fondo, tutti (mi pareva ora di vederlo chiara-
mente) degli adoratori, piú o meno inconsapevoli, dello
Stato; degli idolatri che si ignoravano. Non importava se
il loro Stato fosse quello attuale o quello che vagheggia-
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